Campagne marketing di successo (o no) grazie alla localizzazione

Ragazza con megafono e giacca gialla

Per molte aziende le campagne marketing sono il mezzo principale per comunicare con il proprio mercato, consolidare il proprio posizionamento e acquisire nuovi clienti.

L’aumento dei mezzi di comunicazione disponibili - e soprattutto della loro portata - ha letteralmente aperto un mondo alle aziende, che hanno potuto scoprire nuove opportunità di mercato al di fuori dei confini del proprio territorio. Con piattaforme come YouTube, per esempio, anche campagne di advertising nate per un singolo mercato hanno la possibilità di avere una portata globale.

L’ampliamento dei confini ha richiesto nuove competenze: non solo la conoscenza della lingua del mercato target, ma anche approfondimenti sulla sua cultura e abitudini, per far sì che l’adattamento dei prodotti e dei contenuti agli standard dei diversi paesi fosse il più naturale possibile.

La localizzazione è diventata quindi un processo imprescindibile, specie nelle campagne di digital marketing - per la loro possibile portata - e nelle campagne di social media marketing, dove il rapporto con i clienti è molto ravvicinato. E nemmeno il global marketing, che per definizione è “universale”, sfugge al potere della localizzazione.

Scopriamo alcune strategie di marketing che hanno raggiunto notevoli risultati grazie alla localizzazione.

Coca Cola: i nomi fanno la differenza

Il cambio delle abitudini alimentari - e in generale la battaglia allo zucchero, in Italia così come nel resto del mondo - non si è rivelato particolarmente positivo per la Coca Cola Company, che periodicamente subisce cali nelle vendite.

Nel 2011 però l’azienda è riuscita a invertire il trend negativo con la campagna advertising Share a Coke, arrivata anche in Italia: ebbe così tanto successo che negli Stati Uniti fece aumentare le vendite del 2%, dopo 10 anni in cui i consumi della bibita erano costantemente in declino.

L’idea geniale? Stampare sulle etichette delle bottiglie la scritta “Share a Coke with” (“Condividi una Coca Cola con”) seguita da un nome di persona.

A determinare il successo della campagna fu non solo la scelta dei nomi più diffusi, ma anche la selezione dei nomi più popolari in ogni mercato target.

Coca Cola ha poi ripetuto la strategia nella campagna #dilloconunacanzone, stavolta utilizzando frasi delle canzoni più celebri in Italia (italiane e non).

Bottiglie di Coca Cola con nomi personalizzati

Fonte: Beautips

Perché ha avuto successo?

La localizzazione consente di avvicinare il brand al proprio pubblico, affinché anche marchi globali, famosi in tutto il mondo, vengano percepiti come locali e vicini. È proprio questa vicinanza che incoraggia la connessione tra brand e cliente, garantendo vendite e fedeltà al marchio.

La presenza di nomi italiani ha avuto il doppio vantaggio di far percepire la Coca Cola come italiana - vicina al cliente, quindi - offrendo ai consumatori prodotti in cui potevano ritrovarsi. Non avrebbe mai avuto altrettanto successo se sulle bottiglie fossero stati presenti nomi inglesi o stranieri in generale.

Netflix: rendere disponibili a tutti i contenuti

Se Netflix oggi può contare quasi 210 milioni di iscritti, il cui 64% al di fuori di Stati Uniti e Canada, è grazie alle operazioni di localizzazione, sia a livello linguistico che di contenuti.

Il suo punto forte è la disponibilità di sottotitoli (e talvolta doppiaggi) di qualità disponibili in 62 lingue (secondo What’s On Netflix), spesso incluse anche quelle più rare come il quechua, il sanscrito, il nepalese e molte altre.

A contribuire al successo della piattaforma ci sono anche le produzioni originali. Oltre a essere una delle piattaforme di streaming più famose al mondo, se non la più famosa, è anche una delle maggiori case di produzione di contenuti. Riesce a mantenere questi primati creando contenuti che sa che piaceranno ai propri utenti: studiando il pubblico dei vari paesi, crea film e serie TV in base alle preferenze e ai gusti di ogni mercato.

McDonald’s: tra globale e locale

Sai che nel menu di McDonald’s esistono panini colorati di bianco o nero, con riso al posto del pane e bevande gassate servite con la panna?

Con più di 37 mila filiali in 120 paesi, McDonald’s è innegabilmente un colosso globale. La sua opera di globalizzazione è ancora più degna di nota se si pensa che il cibo è uno degli aspetti più radicati nella cultura di un paese.

Come riesce quindi McDonald’s a mantenere il suo successo in così tanti luoghi diversi - e quindi adattandosi in mercati dove non solo il cibo che propone è lontano dallo standard culturale, ma anche riuscendo a gestire così tante differenze culturali?

La sua strategia è quella di produrre, accanto ai prodotti standard (come le patatine fritte o il Big Mac) anche menu localizzati, che incontrano i gusti dei clienti locali.

Alcuni esempi sono Il McArabia, disponibile solo nei paesi orientali, o i panzerotti, che invece sono disponibili solo in Italia. La Malesia ha avuto il suo speciale Mango McFlurry. In India vengono serviti numerosi menu vegetariani, che invece non vendono altrettanto bene in America.

McDonald’s riesce quindi a infiltrarsi nei differenti mercati grazie a una conoscenza approfondita della cultura culinaria e delle preferenze della popolazione. Che faccia avrebbe fatto un qualsiasi italiano di fronte un McFloat, ovvero una Coca Cola servita con panna?

Ragazza che beve un McFloat Fonte: Business Insider

Non bella, e McDonald’s lo sa.

McDonald’s è inoltre uno dei pochi brand occidentali che è riuscito a penetrare nel mercato cinese con successo. Ci è riuscito grazie alla sua capacità di intercettare le abitudini e le tendenze della cultura cinese e adattandosi a esse.

Nel suo esordio in Cina, McDonald’s puntava a vendere ai cittadini e i lavoratori della classe media. Tuttavia presto scoprì che attraeva più interesse nei giovani; inoltre, ha adattato il proprio menu ai cibi e tradizioni cinesi, distaccandosi dai menu tradizionali occidentali in modo più netto rispetto ad altri mercati.

Red Bull

Da dove proviene la Red Bull? Questo brand è particolarmente noto nel mondo del marketing per la sua capacità di essere considerata da tutti un marchio locale, anche se di fatto non lo è.

Il trucco della Red Bull? Organizzare eventi di sport estremi in diversi paesi, come il Red Bull Cliff Diving World Series, il torneo mondiale di tuffo dalle scogliere organizzato in Puglia e in Irlanda, o il Red Bull Flugtag, “la più strampalata gara aerea per macchine volanti senza motore per sfidare la forza di gravità grazie all’energia di chi spinge e all'aerodinamica”, che nel 2021 si è tenuto a Losanna.

Questa strategia di marketing ha consentito a Red Bull di connettersi con il pubblico giovanile di tutto il mondo, associando al suo brand l’idea degli sport - estremi e anche digitali.

Infine, Red Bull ha prodotto alcune versioni speciali delle proprie bevande per andare incontro ai gusti di determinati mercati, come la Coconut Edition disponibile a Singapore.

Ikea: pionieri della localizzazione

Ikea non ha bisogno di descrizioni. Se ciò è possibile, è grazie all’investimento temporale ed economico che ha svolto fin dal suo esordio nella localizzazione, dei prodotti stessi che dei propri siti web, che l’ha resa famosa in tutto il mondo.

Ma come ci è riuscita?

Nonostante la comunicazione sia molto legata alle origini svedesi del marchio (si vedano i nomi dei prodotti, ma anche la presenza di ristoranti all’interno dei negozi che servono piatti tipici svedesi), per Ikea è stato fondamentale creare prodotti che fossero adatti ai mercati locali: nessuno acquisterebbe oggetti che non rispecchiano la propria abitazione e il proprio stile di vita. Per questo Ikea ha dovuto sviluppare prodotti sì universali, ma con variabili che potessero essere adattate - localizzate, quindi - alle necessità dei singoli mercati.

Quello che ha determinato il successo di Ikea è stata la riduzione al minimo di queste variabili da localizzare, sia nel numero che nella complessità. Nello sviluppo dei prodotti così come nella progettazione dei siti web, la filosofia less design è risultata vincente.

Un’altra strategia vincente di localizzazione adottata da Ikea è stata quella di dedicare a ogni mercato il proprio dominio specifico (quello italiano è ikea.it) e di utilizzare il dominio .com in maniera astuta. La tendenza dei clienti è infatti quella di visitare il sito in dominio .com anche per la ricerca di contenuti locali, ignorando la presenza di domini dedicati ai vari paesi: Ikea ha quindi mantenuto il dominio .com “neutro” dal punto di vista regionale e lo utilizza solo per indirizzare i clienti verso il proprio dominio nazionale.

eBay: l’importanza del lato tecnico

Come spiegano Nelson Ng e Neil McAllister nell’articolo How Unicode enabled eBay to create a global platform, ai suoi esordi eBay era un sito dedicato localizzato soprattutto negli Stati Uniti: sulla piattaforma erano quindi presenti testi redatti in inglese o al massimo in altre lingue dei paesi occidentali. Le prime sfide iniziarono a sorgere con la sua espansione in Asia. eBay utilizzava la codifica di caratteri ISO 8859-1 - ai tempi lo standard della maggior parte dei computer. Questa tipo di codifica tuttavia si limitava a supportare i caratteri dalla A alla Z, i numerali da 0 a 9 e i simboli e segni di punteggiatura più comuni, ma non supportava i caratteri delle le lingue asiatiche, che sono più complicate da gestire anche a livello informatico.

All’inizio eBay provò a “tappare i buchi” utilizzando due tipi di codifica diversi, uno per le lingue occidentali e uno per quelle asiatiche; tuttavia la soluzione non si rivelò efficiente, in quanto i siti asiatici generavano dati testuali che i siti occidentali non erano in grado di mostrare. Alla fine eBay fu costretta, non senza difficoltà, a standardizzarsi su un singolo modello di codifica: l’UTF-8. La migrazione richiese almeno 7 mesi di lavoro.

Spotify e l’iperlocalizzazione

“Thanks, 2016. It’s been weird” (Grazie 2016, è stato un anno strano) è una geniale campagna di marketing lanciata da Spotify alla fine del 2016 come modo di salutare l’anno in procinto di finire. La campagna ebbe una scala globale e utilizzò diverse versioni di una stessa pubblicità, che però conteneva messaggi localizzati in base al luogo di lancio.

Basandosi sui dati generati dagli ascoltatori - come il numero di ascolti e il luogo e la data di riproduzione - Spotify ha appeso sui cartelloni pubblicitari di 14 paesi pubblicità con messaggi divertenti, che facevano riferimento alla cultura del luogo o a eventi salienti del 2016.

Per esempio, a New York è apparso questo cartellone: Cartellone pubblicitario di Spotify Fonte: Ads of the world

Cara persona che ha ascoltato “Sorry” per 42 volte il giorno di San Valentino, che cos’hai combinato?

Mentre nel Regno Unito:

Cartellone pubblicitario di Spotify Fonte: Campaign

Care 3.749 persone che hanno riprodotto “It’s the end of the world as we know it” il giorno del voto della Brexit, tenete duro.

A questa fu affiancata una campagna di digital media marketing sui social, che prevedeva la possibilità di condividere risultati ancor più su misura.

Che cosa ha contribuito al successo della campagna? Oltre ai colori sgargianti, che saltano facilmente all’occhio, Spotify ha scelto con astuzia il periodo di lancio: la fine dell’anno è il momento in cui le persone tendono a riflettere di più. Tramite questa campagna iper-localizzata e l’utilizzo dell’umorismo, Spotify è riuscita a connettersi con i propri utenti, creando contenuti in cui essi si potessero rispecchiare. La campagna è stata condivisa 669 mila volte sui social media e ha aumentato il passaparola tra i giovani tra i 18-34 anni del 5%.

Euro Disney: storia di un fallimento

I parchi di divertimento Disneyland sono famosi in tutto il mondo. Hanno avuto un successo incredibile in America e anche in Giappone; tuttavia, in Europa la storia è andata diversamente. A determinare l’iniziale fallimento della Disney - che finì addirittura per accumulare non pochi debiti - fu la scarsa conoscenza della cultura francese e in generale europea. L’azienda infatti peccò di negligenza e non fece nessun tipo di analisi sulle preferenze dei possibili clienti, preferendo tirare a indovinare, con tutte le conseguenze del caso.

I primi problemi si manifestarono già nella scelta della location: Parigi fu selezionata come sede europea per motivi strategici, tuttavia l’opinione pubblica riteneva l’apertura del parco un attacco alla cultura francese e un simbolo dei cliché della società consumistica americana che non era ben voluto.

A gettare ancora più scompiglio nella vicenda, poi, furono le enormi differenze culturali tra America ed Europa, che Disney non prese in considerazione.

  • Fu vietata la vendita di alcolici all’interno del parco, ignorando che nella cultura francese consumare vino a pranzo è la normalità.
  • I turni dello staff furono organizzati basandosi sull’idea che il lunedì fosse un giorno calmo, mentre il venerdì quello con più affluenza, quando la realtà fu esattamente l’opposta.
  • Gli hotel non erano stati organizzati per la colazione, in quanto all’esecutivo Disney era stato riferito che “gli europei non fanno colazione”.
  • Anche gli orari del pranzo furono problematici, in quanto tutti volevano pranzare alle 12.30 - l’orario di pranzo tradizionale in Europa - mentre il parco era basato sugli orari flessibili degli americani. I membri del cast si ritrovarono a dover spiegare alla clientela che potevano mangiare anche alle 11.30 o alle 14.

Questo scontro tra le due culture e le conseguenti incomprensioni portarono 1000 persone dello staff a licenziarsi solo nelle prime 9 settimane di apertura.

Infine, un altro errore fu l’ignorare la cultura dei parchi divertimenti in Europa, profondamente diversa da quella americana: in America, infatti, i parchi sono vere e proprie mete vacanze di più giorni, mentre in Europa vengono considerati mete per una scampagnata giornaliera. In questo senso, i moltissimi hotel di lusso costruiti nei dintorni del parco si rivelarono inutili.

Nel 1994 i francesi furono solo il 40% dei visitatori: la maggior parte erano invece americani che vivevano in Europa o giapponesi in vacanza nel continente. Alla fine dello stesso anno, Disney ebbe una perdita complessiva di 2 miliardi di euro. Fu necessario quindi adottare una strategia nuova, che ebbe inizio con il cambio del nome del parco da Euro Disney a Disneyland Paris, per rafforzarne l’identità.

Apertura di Euro Disney Fonte: https://i.ytimg.com/vi/ir64KmmCJwk/maxresdefault.jpg

La lezione che impariamo dai successi e i fallimenti, quindi, è che conoscere accuratamente il mercato target - anche quando si tratta di campagne globali - è essenziale per eseguire campagne di marketing di successo ed evitare fallimenti catastrofici e danni d’immagine.

La localizzazione è poi un processo importantissimo per curare la propria presenza online, aumentare gli introiti e favorire il posizionamento sui motori di ricerca. Secondo un noto e citatissimo report di CSA Research, più della metà delle persone preferisce acquistare su siti in cui le informazioni sono disponibili nella propria lingua, e la percentuale sale drasticamente se si tratta di acquisti importanti, come le assicurazioni. Il report sottolinea inoltre che la lingua non è l’unico elemento da prendere in considerazione nella localizzazione: anche nei siti tradotti, l’impossibilità di acquistare con la propria carta di credito o nella propria valuta è un fattore determinante nel processo di acquisto.

Mettere un sito online e tradurlo, quindi, non basta. Per raggiungere il massimo dei risultati è necessario un pool di professionisti che conoscano il mercato e sappiano come agire.

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Copywriter, content writer e social media manager. Laureata in Mediazione Linguistica presso l’Università Roma TRE, Master in Traduzione Audiovisiva presso ISTRAD e Digital Marketing e Communication Specialist presso ITS Academy Machina Lonati

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